domenica 9 ottobre 2016

IPSE DIXIT: MAURIZIO VIROLI

Un popolo composto da individui che credono nei diritti, ma non sanno praticare i doveri, non è una comunità di persone libere ma una moltitudine dove impera la legge del più forte e dove i deboli, quale che sia la ragione della loro debolezza, hanno soltanto il diritto di rassegnarsi a non aver diritti.

martedì 8 marzo 2016

IMMANUEL KANT

Il pensiero filosofico di Immanuel Kant, massimo rappresentante dell’illuminismo tedesco, è fondato sulle capacità della conoscenza, ma anche sui limiti della stessa, ed è ancora oggi, il più valido sostegno per comprendere la realtà.
La sua dottrina si presenta sia come punto di partenza per le varie correnti della filosofia moderna, sia come confluenza del pensiero classico. Kant, tra i vari esiti, ci ha lasciato in eredità quella che viene definita la sua rivoluzione copernicana: la filosofia, la scienza e la morale sono opera dell’uomo, opera della sua ragione derivante dalla sintesi tra l’esperienza empirica con la conoscenza sensibile universale (innata).
Kant, inoltre, ci ha insegnato a ricercare le leggi del corretto vivere all’interno del nostro stesso ragionamento, l’uomo si dà le proprie leggi, sa che deve seguirle in quanto giusto e misurato esercizio della sua libertà senza far ricorso alle certezze della religione o dell’ideologia. In buona sostanza la filosofia kantiana, che ha messo la mente dell’uomo al centro di tutte le nostre intuizioni, invita a capire il mondo anziché volerlo cambiare.
Dopo Kant sono venuti L’hegeliana “astuzia della ragione”, il disprezzo per l’etica di Marx, il superuomo di Nietzsche, fino al relativismo culturale di Husserl e Heidegger: fatali sirene che hanno incantato molto e molti.
Di Kant, che muoveva dalle conquiste della scienza e dell’etica, resta una frase che sintetizza efficacemente il suo pensiero: “Due cose riempiono il mio animo di ammirazione, il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”.

lunedì 2 novembre 2015

PASOLINI


Non ho molto amato né il pensiero né le opere di Pasolini (con l'eccezione, data la poetica che esprime, del film “Vangelo secondo Matteo” ).

Aveva, del corpo sociale contemporaneo, idee di reazione. Reazione verso quello sviluppo e quella tecnologia che, con luci ed ombre, avevano cambiato il volto all’Italia, affrancandola da una secolare miseria sia materiale che culturale (non credo che la scuola, sia pure di massa, da lui tanto osteggiata possa aver nuociuto a qualcuno).

Reazione che lo aveva portato ad esaltare il mondo contadino e sopratutto il sottoproletariato urbano, quali modelli di una innocenza conservata nonostante l’industrializzazione del Paese: ugualmente rivolse il suo interesse ai Paesi del Terzo mondo.

Ma in definitiva Pasolini conosceva la verità: anche i più poveri, anche i borgatari non avevano il dono dell’innocenza, ma, come tutti, erano corrotti e corruttibili.

Probabilmente fu questa verità che trasformò la sua apparente energia in un inconscio desiderio di morte.

lunedì 8 settembre 2014

ANCORA SULLA DEMOCRAZIA.


Accertato che il sistema democratico abbia il grande vantaggio di consentire pacificamente, attraverso l’uso del voto, il ricambio della classe politica, dando vita a governi formalmente garanti dei diritti individuali, guardiamo anche il lato oscuro di questo sistema politico.
Alexis de Toqueville uno dei grandi pensatori politici dell’ottocento, nel suo libro “La Democrazia in America” aveva diagnosticato lucidamente l’inarrestabile affermazione dell’egualitarismo. Ma nel contempo valutava questa affermazione come un pericolo per la libertà. Intuiva che ogni democrazia può degenerare nella tirannia della maggioranza e quindi in un conformismo di massa poco attento ai diritti delle minoranze.
Alla luce di queste osservazioni, valide oggi come allora, occorre combattere i continui eccessi demagogici che diffidano del talento ed esaltano la mediocrità.
Evitare, in sintesi, che il concetto di eguaglianza soffochi la libertà, che, non dimentichiamolo, è, dopo la vita, il diritto più prezioso dell’uomo.

domenica 29 giugno 2014

BENE E MALE


I concetti di “bene e male” sono confusi nella stessa materia della quale è fatto l’uomo perché le due nozioni sono come elementi chimici caratterizzati da una pericolosa tendenza a mescolarsi.
Così ci hanno insegnato la grande cultura e le grandi religioni.
Perciò bisogna riflettere a lungo prima di costruirsi un profilo demonizzato degli altri: questo principio, senza indulgere in facili autoassoluzioni, vale anche per noi stessi.

IL NOSTRO MEZZOGIORNO


Un popolo che non conosce la propria storia è un popolo che non conosce se stesso e non saprà risolvere i problemi che dovrà affrontare.
La poca conoscenza della storia ha indotto i politici italiani, dell’immediato secondo dopoguerra, a credere che bastasse una malfatta riforma della proprietà fondiaria assieme ad un’ancora peggiore industrializzazione del nostro Mezzogiorno a risolvere il divario tra un Nord industrializzato e un Sud agricolo.
Si sarebbero dovute conoscere le diverse strutture sociali del Paese: le regioni settentrionali avevano, fin dal tempo della nascita dei comuni medievali, creato degli organismi collettivi complessi grazie alla presenza di mercanti, artigiani, banchieri, operai specializzati; le regioni meridionali conservavano una struttura sociale semplice composta da una élite di nobili messa di fronte ad una massa di contadini analfabeti.
Se si fosse ben guardato alla formazione storica di queste due realtà, non avremmo ingenuamente creduto che sarebbe stato sufficiente iniettare risorse economiche in regioni ferme ad una economia feudale per poter superare un gap economico vecchio quanto l’Italia stessa.
Lo sviluppo di altre regioni italiane ha radici lontane: solo il tempo, la continuità, e l’impegno (culturale, politico, economico) potranno risolvere la tanto spinosa “questione meridionale”.
Sviluppare il Mezzogiorno vuol dire innescare un nuovo processo che privilegi la formazione scolastica, faccia, finalmente, la rivoluzione agricola che non è mai stata fatta, dia spazio a quella borghesia produttiva liberandola dall’abbraccio soffocante della malavita organizzata.

venerdì 25 aprile 2014

25 APRILE


Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti: Winston Churchill.”
 
Confortati dalle parole del Capo dello Stato anche quest’anno festeggiamo il giorno della Liberazione rimarcando l’operato della Resistenza partigiana nel ruolo di protagonista nello scenario di fine guerra. Questo benedetto Paese che ha fatto del trasformismo la sua formula, dimentica il consenso goduto dal regime fascista fino all’entrata nel conflitto. Vuole credere che dopo l’8 settembre 1943 la stragrande maggioranza degli italiani sia scesa in armi per liberarsi dal giogo nazifascista.
Dell’intervento alleato soltanto un accenno, dei suoi 92.000 soldati caduti che popolano i cimiteri di guerra di tutta Italia neanche a parlarne Così come la resistenza con le stellette (Cefalonia soprattutto). Perché non siamo capaci di leggere bene la storia, perché vogliamo occultare che accanto ad una resistenza fatta da giovani eroici, vi fu anche una guerra civile nella quale furono scritte pagine non certamente gloriose.
A differenza di altri Paesi europei non abbiamo voluto confrontarci col nostro passato, preferendo la nascita di non dovuti miti e liturgie, con l’esito di farci smarrire una realtà molto più complessa.