Un popolo composto da individui che credono nei diritti, ma non sanno praticare i doveri, non è una comunità di persone libere ma una moltitudine dove impera la legge del più forte e dove i deboli, quale che sia la ragione della loro debolezza, hanno soltanto il diritto di rassegnarsi a non aver diritti.
alto45
blocknotes
domenica 9 ottobre 2016
martedì 8 marzo 2016
IMMANUEL KANT
Il
pensiero filosofico di Immanuel Kant, massimo rappresentante
dell’illuminismo tedesco, è fondato sulle capacità della
conoscenza, ma anche sui limiti della stessa, ed è ancora oggi, il
più valido sostegno per comprendere la realtà.
La sua dottrina si presenta sia come punto di
partenza per le varie correnti della filosofia moderna, sia come
confluenza del pensiero classico. Kant, tra i vari esiti, ci ha
lasciato in eredità quella che viene definita la sua rivoluzione
copernicana: la filosofia, la scienza e la morale sono opera
dell’uomo, opera della sua ragione derivante dalla sintesi tra
l’esperienza empirica con la conoscenza sensibile universale
(innata).
Kant, inoltre, ci ha insegnato a ricercare le leggi
del corretto vivere all’interno del nostro stesso ragionamento,
l’uomo si dà le proprie leggi, sa che deve seguirle in quanto
giusto e misurato esercizio della sua libertà senza far ricorso
alle certezze della religione o dell’ideologia. In buona sostanza
la filosofia kantiana, che ha messo la mente dell’uomo al centro di
tutte le nostre intuizioni, invita a capire il mondo anziché
volerlo cambiare.
Dopo Kant sono venuti L’hegeliana “astuzia della
ragione”, il disprezzo per l’etica di Marx, il superuomo di
Nietzsche, fino al relativismo culturale di Husserl e Heidegger:
fatali sirene che hanno incantato molto e molti.
Di Kant, che muoveva dalle conquiste della scienza e
dell’etica, resta una frase che sintetizza efficacemente il suo
pensiero: “Due cose riempiono il mio animo di ammirazione, il cielo
stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”.
lunedì 2 novembre 2015
PASOLINI
Non ho
molto amato né il pensiero né le opere di Pasolini (con
l'eccezione, data la poetica che esprime, del film “Vangelo secondo
Matteo” ).
Aveva,
del corpo sociale contemporaneo, idee di reazione. Reazione verso
quello sviluppo e quella tecnologia che, con luci ed ombre, avevano
cambiato il volto all’Italia, affrancandola da una secolare miseria
sia materiale che culturale (non credo che la scuola, sia pure di
massa, da lui tanto osteggiata possa aver nuociuto a qualcuno).
Reazione che lo aveva
portato ad esaltare il mondo contadino e sopratutto il
sottoproletariato urbano, quali modelli di una innocenza conservata
nonostante l’industrializzazione del Paese: ugualmente rivolse il
suo interesse ai Paesi del Terzo mondo.
Ma in
definitiva Pasolini conosceva la verità: anche i più poveri, anche
i borgatari non avevano il dono dell’innocenza, ma, come tutti,
erano corrotti e corruttibili.
Probabilmente
fu questa verità che trasformò la sua apparente energia in un
inconscio desiderio di morte.
lunedì 8 settembre 2014
ANCORA SULLA DEMOCRAZIA.
Accertato
che il sistema democratico abbia il grande vantaggio di consentire
pacificamente, attraverso l’uso del voto, il ricambio della classe
politica, dando vita a governi formalmente garanti dei diritti
individuali, guardiamo anche il lato oscuro di questo sistema
politico.
Alexis de
Toqueville uno dei grandi pensatori politici dell’ottocento, nel
suo libro “La Democrazia in America” aveva diagnosticato
lucidamente l’inarrestabile affermazione dell’egualitarismo. Ma
nel contempo valutava questa affermazione come un pericolo per la
libertà. Intuiva che ogni democrazia può degenerare nella tirannia
della maggioranza e quindi in un conformismo di massa poco attento ai
diritti delle minoranze.
Alla luce di
queste osservazioni, valide oggi come allora, occorre combattere i
continui eccessi demagogici che diffidano del talento ed esaltano la
mediocrità.
Evitare, in
sintesi, che il concetto di eguaglianza soffochi la libertà, che,
non dimentichiamolo, è, dopo la vita, il diritto più prezioso
dell’uomo.
domenica 29 giugno 2014
BENE E MALE
I
concetti di “bene e male” sono confusi nella stessa materia della quale è fatto
l’uomo perché le due nozioni sono come elementi chimici caratterizzati da una
pericolosa tendenza a mescolarsi.
Così
ci hanno insegnato la grande cultura e le grandi religioni.
Perciò
bisogna riflettere a lungo prima di costruirsi un profilo demonizzato degli
altri: questo principio, senza indulgere in facili autoassoluzioni, vale anche
per noi stessi.
IL NOSTRO MEZZOGIORNO
Un
popolo che non conosce la propria storia è un popolo che non conosce se stesso
e non saprà risolvere i problemi che dovrà affrontare.
La
poca conoscenza della storia ha indotto i politici italiani, dell’immediato secondo
dopoguerra, a credere che bastasse una malfatta riforma della proprietà
fondiaria assieme ad un’ancora peggiore industrializzazione del nostro
Mezzogiorno a risolvere il divario tra un Nord industrializzato e un Sud
agricolo.
Si
sarebbero dovute conoscere le diverse strutture sociali del Paese: le regioni
settentrionali avevano, fin dal tempo della nascita dei comuni medievali,
creato degli organismi collettivi complessi grazie alla presenza di mercanti,
artigiani, banchieri, operai specializzati; le regioni meridionali conservavano
una struttura sociale semplice composta da una élite di nobili messa di fronte
ad una massa di contadini analfabeti.
Se
si fosse ben guardato alla formazione storica di queste due realtà, non avremmo
ingenuamente creduto che sarebbe stato sufficiente iniettare risorse economiche
in regioni ferme ad una economia feudale per poter superare un gap economico
vecchio quanto l’Italia stessa.
Lo
sviluppo di altre regioni italiane ha radici lontane: solo il tempo, la continuità,
e l’impegno (culturale, politico, economico) potranno risolvere la tanto
spinosa “questione meridionale”.
Sviluppare
il Mezzogiorno vuol dire innescare un nuovo processo che privilegi la
formazione scolastica, faccia, finalmente, la rivoluzione agricola che non è
mai stata fatta, dia spazio a quella borghesia produttiva liberandola
dall’abbraccio soffocante della malavita organizzata.
venerdì 25 aprile 2014
25 APRILE
“Bizzarro
popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno
successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90
milioni di italiani non risultano dai censimenti: Winston Churchill.”
Confortati dalle parole del Capo dello
Stato anche quest’anno festeggiamo il giorno della Liberazione rimarcando
l’operato della Resistenza partigiana nel ruolo di protagonista nello scenario
di fine guerra. Questo benedetto Paese che ha fatto del trasformismo la sua
formula, dimentica il consenso goduto dal regime fascista fino all’entrata nel
conflitto. Vuole credere che dopo l’8 settembre 1943 la stragrande maggioranza
degli italiani sia scesa in armi per liberarsi dal giogo nazifascista.
Dell’intervento alleato soltanto un accenno,
dei suoi 92.000 soldati caduti che popolano i cimiteri di guerra di tutta
Italia neanche a parlarne Così come la resistenza con le stellette (Cefalonia
soprattutto). Perché non siamo capaci di leggere bene la storia, perché
vogliamo occultare che accanto ad una resistenza fatta da giovani eroici, vi fu
anche una guerra civile nella quale furono scritte pagine non certamente
gloriose.
A differenza di altri Paesi europei non
abbiamo voluto confrontarci col nostro passato, preferendo la nascita di non
dovuti miti e liturgie, con l’esito di farci smarrire una realtà molto più
complessa.
Iscriviti a:
Post (Atom)